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Che siano le esigenze sociali di una nuova tipologia di committenza a dettare l'agenda critica dei pittori, o che sia la nuova estetica della pittura a favorire l'affermarsi del genere, tra XV e XVI secolo, sta di fatto che il ritratto individuale pone la difficile sfida di riuscire a coniugare in una sola immagine identità diverse: quella particolare del modello e, che pure deve poter riconoscersi e farsi riconoscere nelle proprie fattezze concrete; quella ideale dell'arte stessa, di cui il ritratto è una tangibile, virtuosa esemplificazione; quella non meno reale dell'artista, sia pure mediata, la cui personalità esce ormai dall'anonimato per pretendere a un debito riconoscimento pubblico - e proprio Raffaello saprà sfruttare con piena consapevolezza lo strumento della "firma" -; nonché infine, quella virtuale dello spettatore, della cui implicita ma obbligatoria presenza l'immagine si fa carico, guardando, alludendo, ammiccando, come a un complice silenzioso, singolare e collettivo a un tempo. È tenendo conto di questi aspetti distinti ma complementari che si può avere una misura dei raggiungimenti della ritrattistica raffaellesca, rispetto alla tradizione che la precede e rispetto agli effetti, di ben lunga durata, che essa stessa determina.